SAMMEZZANO / L’URGENZA D’IMPRIMERE UNA SVOLTA

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Periodicamente, a cadenza variabile, appaiono sui mezzi di informazione vari accorati appelli per la salvezza di Sammezzano, la vasta tenuta situata a non molta distanza da Firenze, nell’attuale Comune di Reggello, divenuta famosa per essere stata ispirata, dal marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona (1813-1897), alla cultura esotica.

Verrebbe spontaneo osservare che tali appelli, scarsamente propositivi, si intensificano nei periodi elettorali, il che indurrebbe a pensare che anche la tenuta di Sammezzano non sia rimasta indenne dalla tendenza, ormai da tempo largamente in voga, consistente nell’utilizzare il patrimonio culturale per tornaconti di vario tipo, specie in termini di visibilità.

La qual cosa, tuttavia, non può sminuire l’esigenza di smuovere una stasi che dura da anni, e che di certo non giova al mantenimento in buone condizioni dell’insieme dei beni di Sammezzano, costituiti da un grande parco ove svettano tra l’altro alcune rarissime sequoie giganti (che pervennero dal Nord-America), e da tante costruzioni tra cui spiccano, oltre alle numerose case coloniche tradizionali, i fabbricati divenuti giustamente famosi per essere stati improntati dal marchese Panciatichi, nel corso della seconda metà dell’800, ai fasti eclettici dell’arte orientale (e islamica in primis).

Per via di ragionamenti non certo astrusi, il marchese compì tale scelta giungendo a considerare l’arte orientale superiore a quella occidentale, per il motivo che essa, specie quella islamica e analogamente a quella ebraica, era sostanzialmente aniconica (non figurativa) e, pertanto, aveva sviluppato alti gradi di perfezione nel campo dell’astrazione, sia geometrica sia fitomorfica e zoomorfica.

In un periodo dominato dai revivals stilistici occidentali (neomedievalismo, neorinascimentalismo, etc.) quella del marchese Panciatichi costituì un’opzione di gusto non certo maggioritaria, ma i cui valori pregnanti furono magistralmente visualizzati nella globale metamorfosi architettonica e artistica che il nobiluomo impresse alla tenuta di Sammezzano. Essi si ammirano appieno specie visitando le sale poste al piano nobile del fabbricato principale (la villa-castello utilizzata come sontuosa residenza di campagna), ove tutt’oggi si resta abbagliati dal tripudio mirabolante di forme e cromie, intrise di richiami all’arte orientale, che rendono unica l’esperienza della percezione visiva di Sammezzano, nel panorama toscano e italiano.

Il marchese si compiacque peraltro di inserire negli apparati decorativi anche molte iscrizioni (talvolta utilizzando i caratteri cufici che identificano lo stile calligrafico della lingua araba), le quali paiono alquanto rivelatrici della sua personalità. Sicuramente forte, come attesta il motto “frangar non flectar” (mi piegherò ma non mi spezzerò) leggibile in una delle sale, per niente avvezza a seguire le tendenze dominanti, incline all’enigmaticità e al culto dell’ermeneutica come si evince in altre sale, poliedrica nella coltivazione di interessi vari – oltre all’arte e all’architettura si interessò di politica (fu senatore del Regno), di botanica, di bibliofilia, etc.-, radicale e intransigente nell’assunzione di certe decisioni, come fu la condanna alla segregazione della moglie Giulia di Saint Seigne, accusata di averlo tradito.

Sammezzano costituì l’opus magnum dell’intera vita di Ferdinando Panciatichi, i cui meriti sono da considerarsi ancor maggiori se si tiene conto che egli fu non solo il committente ma anche l’artefice principale della grandiosa impresa costruttiva, pur non essendo un professionista ufficialmente titolato (architetto o ingegnere) ma un semplice dilettante (ossia una persona che fa le cose per diletto o per piacere). Animato però da una passione autentica per l’arte di edificare e per la creatività ornamentale ricca di fantasia, peraltro supportate da un’abilità tecnica non trascurabile (impiantò nel parco una fornace per la produzione dei laterizi). Va comunque detto che, per attuare i suoi ambiziosi progetti, il marchese poté disporre di immense ricchezze, tra quelle ereditate dagli avi e quelle da egli aggiunte al patrimonio di famiglia mediante lucrosi affari.

Ma non voglio dilungarmi nel riscrivere la storia della vita di Ferdinando Panciatichi e di Sammezzano, che del resto è stata delineata in varie pubblicazioni, alle quali potranno sicuramente aggiungersene altre in future occasioni.

Piuttosto, vorrei riferire che fin quando restò in vita il marchese, deceduto nel 1897, è presumibile che Sammezzano si sia mantenuta sostanzialmente in buone condizioni, nel mentre tra l’altro si continuò a edificare e ad apportare finiture alle opere. Lo stesso potrebbe dirsi, mutatis mutandis, durante il periodo in cui la proprietà della tenuta passò a Marianna Panciatichi Ximenes d’Aragona (1835-1919), maritata Paulucci, la figlia del marchese dedita alla botanica, alla ornitologia e alla malacologia.

Non è da escludersi tuttavia che già dai primi decenni del ‘900 abbiano iniziato a manifestarsi i segni di un declino destinato a protrarsi nei decenni successivi, col subentro ai Panciatichi di altri proprietari privati, e malgrado venissero poco dopo emanati, dalla Soprintendenza, i primi provvedimenti di tutela. Che risalgono al 1925 e traggono forza dalla legge n. 364 del 1909, sulle opere di interesse storico o artistico, e dalla legge n. 688 del 1912 sulle opere quali ville, parchi e giardini.

Come è noto a chi conosce in generale la storia delle vicende connesse alla protezione del patrimonio architettonico, infatti, l’esistenza e/o la permanenza di specifiche tutele di legge non assicura il mantenimento in buone condizioni conservative dei beni che ne siano oggetto. E tale dato di realtà, purtroppo, è valso anche per Sammezzano che non è sfuggito nel corso dei decenni agli effetti di vicende non certo favorevoli alla preservazione del suo pregio eccezionale.

Peraltro, non mancò il tentativo, paradossalmente da parte del ministro pro-tempore Guido Gonella, di indurre la Soprintendenza ad allentare i “vincoli” che limitavano le libertà della proprietà privata, passata nel frattempo a Piero e Germana Oriani, per il motivo (pretestuoso) dei danni subiti dagli edifici e dal parco durante la seconda Guerra Mondiale. La richiesta però non fu accolta, e la tenuta di Sammezzano continuò ad essere tutelata, per effetto delle leggi di Giuseppe Bottai (la n. 1089 e la n. 1479) che erano entrate in vigore nel 1939.

Intorno al 1970, su impulso della società Sammezzano s.p.a., che era stata in precedenza costituita, si prospettò comunque una nuova stagione di prosperità, legata alla creazione di un grande albergo di lusso (con ristorante), che fu poi adibito principalmente alle feste matrimoniali e ad altri eventi improntati al fasto e alla sontuosità. Cosicché Sammezzano, dopo la conclusione dei lavori nel 1973, divenne una sorta di “castello delle cerimonie”, come quello della nota serie televisiva, non però kitsch in quanto finto, ma straordinariamente autentico. Ricordo che la restauratrice Arianna Barchielli, figlia del restauratore Alfio che lavorò per il proprietario di allora che era Narciso Brunori, mi disse che fu una delle ultime persone a sposarsi a Sammezzano, se non ricordo male nel gennaio del 1990.

Malgrado venisse rinnovato nel 1972 il “vincolo” di tutela culturale, non mancarono tuttavia altre grane, come quelle ascrivibili alla costruzione nel 1977-78 del “mostro”, ossia del grande edificio con struttura di cemento armato, progettato dall’architetto Pierluigi Spadolini, destinato a incrementare la ricettività turistica del complesso alberghiero. Lo chiamo “mostro” perché, alquanto irrispettosamente, esso fu collocato a troppa poca distanza dall’imponente palazzo residenziale del marchese Panciatichi, arrecando di fatto solo danni al contesto ambientale e alla integrità del parco, giacché restò peraltro incompiuto per il sopraggiungere di traversie giudiziarie e di modifiche normative che lo resero inservibile.

Dopo la chiusura dell’albergo-ristorante, la tenuta di Sammezzano passò nel 1992 alla Fratelli Catalani s.p.a., che al tempo era proprietaria di altri pregevoli immobili della zona. L’intenzione fu quella di compiere un’ambiziosa operazione immobiliare. Tuttavia, il progetto dell’arch. Bruno Cosimo Pati, seppure approvato da Comune di Reggello e Soprintendenza, restò inattuato, per carenza di risorse.

Si giunse quindi al 1999, quando la società Sammezzano s.p.a. venne dal suo presidente Elio Catalani messa all’asta, e acquistata dalla società inglese London & Hereford l.t.d. con sede a Londra, che per l’occasione creò la Sammezzano Castle s.r.l. L’avvenimento parve sulle prime preludere all’avvio di una rinascita per Sammezzano, ma le speranze ben presto si spensero, giacché i nuovi proprietari, malgrado le reiterate dichiarazioni di ottimi intenti, delusero le aspettative di quanti s’erano illusi che il castello e il suo parco tornassero presto a sfavillare.

Invero, mi sono sempre chiesto per quale motivo gli inglesi abbiano comprato Sammezzano, avendo poi fatto pochissimo per metterlo a reddito, fatta eccezione per l’elaborazione di un Piano Unitario di Intervento (redatto dagli architetti Marco Lungani e Patrizio Pacini), rimasto inattuato, nel quale però riuscii a fare inserire l’allocazione nella “Casa di Guardia” (situata vicino al palazzo residenziale), di un “Centro internazionale di documentazione e di studio per l’architettura e l’arte orientale”. Di risposte però, sinora, non sono riuscito a riceverne o a darmene.

Cosicché, nel protrarsi dell’inedia, anche la Sammezzano Castle s.r.l. giunse al fallimento, cui fece seguito nel 2015 una nuova messa all’asta, rimasta però senza offerte. Nella circostanza si ebbe comunque un riassetto societario, che tuttavia continuò a non produrre risultati concreti sul piano degli obblighi conservativi, come prescritto dal testo base in materia di tutela del patrimonio, ossia dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004).

Un’ulteriore messa all’asta avvenne nel 2017, quando la tenuta di Sammezzano fu acquistata per 14,4 milioni di euro dalla società Helitrope Limited, con sede a Dubai, che tuttavia restò proprietaria degli immobili per pochissimo tempo (circa un mese) in quanto il Tribunale di Firenze annullò la vendita, su richiesta della Kairos s.r.l. (che aveva acquisito i crediti che vari soggetti vantavano nei confronti della Sammezzano Castle s.r.l.), decretando il ritorno dei beni ai proprietari inglesi. Vicende, quelle sopra citate, che confermano quanto siano state forti le contese di interessi intorno all’opera creata del marchese Panciatichi, con evidenza funestata da sequele di avversità.

Nel mentre, crebbe notevolmente la diffusione della conoscenza visiva del castello, reso ancora più noto, mediaticamente, da films o videos nei quali comparve come fantasmagorica location, situata non in luoghi remoti ma nel Valdarno fiorentino. Anche le attenzioni e le preoccupazioni per le sorti della tenuta, in quanto bene culturale esposto a rischi, aumentarono decisamente e posero Sammezzano ancor più sotto i riflettori della pubblica opinione.

Non mancarono interrogazioni parlamentari, l’iscrizione nella “Lista Rossa” dei beni culturali in pericolo (curata da Italia Nostra), il piazzamento al primo posto della classifica 2016 intitolata “I Luoghi del Cuore” (a cura del Fondo per l’Ambiente Italiano), l’inserimento nella lista dei sette luoghi più in pericolo d’Europa (su impulso di Europa Nostra), etc. Tutte iniziative rimaste però senza esiti concreti, da parte dei proprietari, quanto ad azioni necessarie ad assicurare l’adeguata conservazione del complesso e la sua valorizzazione.

Altrettanto poco incisive in termini d’effetti fattuali, per quanto meritorie sul piano della sensibilità e dell’impegno civico, si rivelano le attività svolte dal comitato Sammezzano FPXA (fondato nel 2012 e promotore comunque di un fondamentale convegno tenutosi nel 2013, i cui atti sono citati in calce), e dal successivo movimento Save Sammezzano (avviato nel 2015, che si è dato molto da fare per reclamizzare Sammezzano, anche per reperire risorse, e a cui si deve la curatela d’una utile cronistoria, pubblicata nel loro sito web).

Del resto, l’acclarato e perdurante disimpegno economico dei proprietari inglesi induce varie personalità della cultura italiana a non restare inerti di fronte a quello che tende sempre più ad apparire un clamoroso scandalo nazionale.  Tra loro, Vittorio Sgarbi propone nel 2022 che sia lo Stato ad acquisire Sammezzano, ai fini della sua destinazione pubblica, non ottenendo tuttavia egli neppure il risultato atteso.

E così giungiamo ai nostri giorni, nei quali la tenuta di Sammezzano si trova nuovamente coinvolta nel fallimento (formalizzato nel gennaio 2023) della società proprietaria, e nei quali le attese e le speranze per una svolta radicale delle vicende che hanno segnato la triste storia recente del bene patrimoniale si sono riaccese, in vista dell’asta che dovrebbe essere indetta a breve dal curatore fallimentare nominato dal Tribunale di Arezzo.

Purtroppo però, le condizioni di conservazione non sono certo migliorate, essendo stati attuati i soli interventi urgenti di messa in sicurezza, nei modi consentiti dai materiali e dalle fragili tecniche costruttive originarie (le quali ad esempio, nel tetto del fabbricato principale, consistono in sole tegole che poggiano direttamente sui travetti di legno, e che possono quindi facilmente smuoversi), in mancanza tra l’altro della documentazione propedeutica all’elaborazione di adeguati progetti scientifici di restauro, tra cui un accurato rilievo materico e diagnostico di tutti gli immobili.

Personalmente, avendo seguito da tempo Sammezzano, ho auspicato più volte, in forme ufficiose e ufficiali, che la Repubblica (ovvero l’insieme di Stato italiano, Regione Toscana, Città Metropolitana di Firenze, Comune di Reggello, etc.) si facesse finalmente carico di trovare le giuste risorse per intervenire beneficamente, anche mediante il diritto di prelazione spettante al Ministero della Cultura o ad altri soggetti pubblici. E ho fatto ciò pur non mancando di evidenziare che, oltre alle somme necessarie per l’acquisto degli immobili (non meno di 15 milioni di euro circa), servirebbero somme aggiuntive, di importo presuntivamente non minore, per restaurare la tenuta e predisporla alla valorizzazione, anche in termini di rendimento economico, da decidere se affidare al pubblico o al privato.

In assenza di interventi valorizzativi, e soprattutto di progetti economicamente sostenibili, il mero passaggio della proprietà di beni culturali dal soggetto privato al soggetto pubblico non è infatti garanzia del loro recupero e del loro mantenimento in ottimali condizioni conservative, come insegnano varie esperienze tra cui, vicino Firenze, quella annosa e ben nota delle Gualchiere di Remole.

Ad ogni modo, si può tener presente (come notazione a latere) che nelle vicinanze di Sammezzano, a valle del poggio panoramico su cui s’erge la villa-castello che fu abitata dai Panciatichi, vi è il ben noto outlet “The Mall” (con negozi di abbigliamento di marche rinomate), frequentato da tantissimi acquirenti italiani e stranieri, i quali potrebbero costituire una ricca miniera di utenti per la possibile rinascita anche economica dell’insigne maniero orientaleggiante e del vasto parco che lo circonda.

Aggiungasi che una soluzione meno dispendiosa, per le casse pubbliche, potrebbe essere quella di acquisire le sole parti di maggior pregio della proprietà, rivendendo (o non acquistando) quelle di pregio testimoniale (come le case coloniche disseminate nel parco), da mantenere comunque tutelate, coi quali introiti si potrebbero ricavare risorse per elaborare progetti ed eseguire lavori. Si tratta però di una mera ipotesi, di cui valutare nel concreto la fattibilità, posto che comunque sono da evitare smembramenti incongrui.

I suddetti auspici non sono ovviamente avulsi dalla riflessione più generale in merito all’opportunità e convenienza, per l’insieme dei soggetti pubblici costituenti la Repubblica, di accollarsi una spesa ingente come quella necessaria per salvare Sammezzano.

Non si può tuttavia sottacere il fatto che in altri casi sono state esperite soluzioni lodevoli per l’interesse pubblico, come quella della Reggia borbonica di Carditello, in Campania, acquistata dal Ministero della Cultura nel 2014 e riaperta al pubblico nel 2017, dopo un lungo periodo di abbandono. O come quella riguardante lo stanziamento di 20 milioni di euro, nella Legge Finanziaria approvata a fine 2022, per l’acquisto di Villa Verdi, la residenza di Villanova d’Arda (nel Piacentino), ove visse per decenni il celebre compositore Giuseppe Verdi, destinata alla vendita all’asta. Al riguardo, non si può omettere di menzionare la disponibilità di risorse eventualmente attingibili dai fondi del PNRR, che si stanno impegnando a profusione, in taluni casi, per progetti di discutibile priorità rispetto a Sammezzano.

Quale possibile strumento di intervento, riterrei utilizzabile anche quello dell’esproprio per pubblica utilità, come avvenuto nel 2018, per citare una vicenda alquanto nota, con l’Archivio di Giorgio Vasari (di Arezzo) da parte della Direzione Generale degli Archivi del Ministero della Cultura, al termine di estenuanti contenziosi giudiziari. Come estrema ratio, si potrebbe persino avallare la confisca dei beni.

Ad ogni modo, non credo si possa biasimare chi si indigna nell’affermare che l’Italia (intesa come nazione e come comunità civile) debba sentire forte la responsabilità dell’impegno diretto a far sì che un bene culturale come Sammezzano, noto in tutto il mondo o quasi, non continui a restare in condizioni di abbandono e a essere utilizzato saltuariamente come mera fonte lucrativa di basso cabotaggio. Il valore storico e artistico di Sammezzano è talmente pregevole, a mio parere, da rendere plausibile persino l’inserimento del bene tra i siti facenti parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità, dichiarati tali dall’UNESCO, potendo eventualmente essere aggiunto, a mo’ di addendum, ai beni del sito seriale delle “Ville e giardini medicei in Toscana”, istituito nel 2013. Anche questa però non è altro che una semplice idea propositiva, emersa dal contesto delle tante riflessioni compiute negli anni.

Personalmente, ho anche invitato più volte, sia i referenti locali della proprietà inglese sia altri soggetti vari, a trarre proficui insegnamenti dalla mirabile esperienza di recupero della Rocchetta Mattei (situata in Comune di Grizzana Morandi, sul versante bolognese dell’Appennino), che a mio parere può costituire una più che valida fonte ispirativa per la salvezza di Sammezzano, specie per quanto riguarda gli aspetti economici e gestionali.

In quella che fu la residenza del conte Cesare Mattei – creata anch’essa nella seconda metà dell’800 però su preesistenze medievali, con esiti architettonici molto più mossi e “pittoreschi” se comparati alla compatta imponenza della villa-castello di Sammezzano, benché similmente improntati all’eclettismo orientaleggiante -, le sinergie tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna (proprietaria dell’immobile) e il Comune di Grizzana Morandi (che gestisce il complesso), unite alla passione non dilettantesca delle persone coinvolte nell’impresa del restauro e della riapertura al pubblico, ha condotto a risultati davvero lodevoli.

Purtroppo però, e di ciò me ne dolgo molto, pare ancora impossibile che non si riesca a capire quanto sia importante, per le sorti di Sammezzano, instaurare fattivi rapporti con gli artefici della riacquisizione al patrimonio monumentale italiano della Rocchetta Mattei.

Per concludere, e malgrado il quadro delineato non certo ottimistico, vorrei dichiararmi più che favorevole ad imprimere la necessaria svolta alle stagnanti vicende di Sammezzano, senza smettere di adoperarsi, con ovvia cognizione di causa, per giungere a soluzioni che però non siano vaghe e fumose, ma concrete e attuabili. Le quali richiedono, come presupposti di base, costanti rapporti congiunti tra i soggetti pubblici aventi competenze e ruoli per intervenire (il MiC per il tramite dei suoi Istituti periferici, la Regione Toscana, la Città Metropolitana di Firenze, il Comune di Reggello, etc.), oltre a tutti gli altri soggetti che si ritenga opportuno coinvolgere (Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, etc.), per fecondare il dibattito e orientare le scelte, non più rinviabili.

E’ indubbio che il protrarsi dell’attuale situazione di stallo sollecita l’urgente assunzione di responsabilità da parte di tutti.

EMas (Emanuele Masiello) – 12 maggio 2024

PS – Il presente scritto costituisce la replica quasi identica di un articolo pubblicato nel blog di Italia Nostra – Sezione Firenze, dal 10 maggio 2024. L’autore ci tiene a specificare che le opinioni esposte sono sue personali e non dell’istituzione di appartenenza.  Tutte le fotografie, eccetto la prima dall’elicottero, sono di Giustino di Sipio e risalgono all’agosto 2022

 


Riferimenti bibliografici
Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona \ Sammezzano e il sogno d’Oriente 1813-2013, Atti del convegno tenutosi a Sammezzano dal 31 maggio al 1 giugno 2013, a cura di Emanuele Masiello ed Ethel Santacroce, Sillabe, Livorno 2014

 


La “Villa di Sammezzano” nello stralcio planimetrico del Catasto “Lorenese” (prima metà del XIX secolo), anteriormente alle trasformazioni attuate dal marchese Ferdinando Panciatichi. Da: Regione Toscana – Cartografia del PIT con valenza di Piano Paesaggistico

 

Si veda anche

FERDINANDO PANCIATICHI XIMENES D’ARAGONA E L’OPUS MAGNUM DI SAMMEZZANO

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