UNA MOSTRA D’ARTE SULLA VIA DEL RECUPERO DI SANT’ORSOLA IN FIRENZE

NEL MENTRE PROSEGUE IL "RESTAURO" DEL COMPLESSO DI SANT'ORSOLA, LA MOSTRA DI OPERE APPOSITAMENTE ESEGUITE PER LA LOCATION DELL'EX CONVENTO, DA DUE GIOVANI ARTISTI CONTEMPORANEI, OFFRE L'OCCASIONE PER RIVISITARE GLI AMBIENTI E PER COMPIACERSI DEI WORKS IN PROGRESS

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UN EVENTO ESPOSITIVO CHE HA DATO IMPULSO ALLA RINASCITA DELLO STORICO COMPLESSO EX CONVENTUALE

Socrate diceva conosci te stesso, e io, che mi auguro di conoscere me stesso, confesso che sono stato prevenuto nel temere che l’affidamento in concessione del complesso di Sant’Orsola, dalla Città Metropolitana di Firenze alla società francese Artea, sarebbe stato deleterio.  All’epoca pensai che si trattasse della solita operazione orchestrata dalla politica, poco attenta alla primaria esigenza di valorizzare (non solo economicamente) un bene culturale prezioso come Sant’Orsola, che ha sofferto come pochi altri in Firenze lunghi periodi di usi impropri, abbandoni, negligenze diffuse e avvilenti.

Basti dire che la stretta Via di Sant’Orsola, ove si trovava l’ingresso principale al convento, è stata usata per anni come una sorta di orinatoio all’aperto, di cui chiunque si sia trovato a passare da quelle parti non credo potrà dimenticare il ricordo del tanfo nauseante.

Invece, visitando la mostra Oltre le mura di Sant’Orsola (tenutasi dal 1 giugno al 2 luglio 2023), si è avuta l’impressione che l’operazione stia procedendo in maniera avveduta e rispettosa. Specie per merito dell’approccio cauto, dimostrato sinora da Artea, nel porsi responsabilmente al cospetto di un bene di elevato pregio storico, molto importante per Firenze e per la sua identità culturale, non certamente trattabile come mera fonte di speculazione immobiliare, improntata alla logica della gentrification che sta permeando nel mondo vari interventi rigenerativi di siti urbani degradati.

Artea è una società che opera nel settore immobiliare e in settori ad esso collegati (energia, ospitalità, etc.).  Fu fondata da Philippe Baudry, attuale CEO, al quale si deve l’impulso all’espansione spettacolare che l’azienda ha avuto negli ultimi tempi, nell’attuazione di progetti ambiziosi. Tra i quali spicca per l’appunto, in quanto ritenuto emblematico, il recupero dell’ex convento fiorentino di Sant’Orsola che,  come previsto dal bando di gara vinto dai francesi, si baserà sull’accollo al privato degli oneri tecnico-finanziari per l’esecuzione dei lavori di “restauro” in cambio degli introiti derivanti della gestione dell’immobile per un tempo di 50 anni.

Una soluzione “chiavi in mano”, diversa tanto dalla responsabilità assunta in proprio dal soggetto pubblico (la Città Metropolitana ossia la ex Provincia), quanto dall’opzione alternativa della mera vendita del bene al soggetto privato, pur con l’inserimento di condizioni e oneri a beneficio della fruizione pubblica.

Per l’antico e imponente complesso religioso situato vicino al Mercato di San Lorenzo e a non molta distanza dalla Stazione di Santa Maria Novella, ossia in un’area dove i beni immobiliari posseggono elevati valori aggiunti, parrebbe prospettarsi quindi la concreta possibilità di una rinascita globale e duratura, affidata alla responsabilità dei tanti professionisti (tra cui l’architetto Carlo Bandini e il manager Nathan Dubois-Stora) convolti da Artea nel progetto di “restauro” che,  mediante ingenti investimenti finanziari, dovrebbe concludersi fattualmente entro il 2025.

Tra coloro che vorrei altresì citare, per l’impegno che sta dedicando all’assolvimento dei suoi compiti, vi è la giovane curatrice della mostra in parola, Morgane Lucquet Laforgue, la quale è anche la designata futura direttrice del Museo di Sant’Orsola che avrà sede nel complesso, insieme alle tante altre attività che saranno accolte negli ambienti ex conventuali, secondo quanto previsto dal progetto presentato il 19 gennaio 2021 che ha iniziato a tradursi in realtà.

Com’è ormai tendenza dominante da decenni, dopo l’entrata in crisi della monofunzionalità, il progetto è incentrato infatti sull’attribuzione di elevato valore urbano alla multifunzionalità, ossia alla possibilità di poter svolgere all’interno dell’ex convento numerose attività (formative, commerciali, ristorative, ricreative, espositive, ludiche, musicali, artigianali, etc.). Ciò a conferma della fiducia che continua a essere accordata all’integrazione di più funzioni, quale soluzione che favorisce l’uso continuativo dei  grandi ensembles immobiliari (come nel caso delle Murate) e di intere porzioni di città.

La multifunzionalità del resto, parrebbe andare a braccetto con la multiculturalità, considerata la condizione precipua del nostro presente. Va tuttavia precisato che il recupero di Sant’Orsola dovrebbe avvenire mediante un progetto non tanto di “restauro” architettonico quanto piuttosto di ristrutturazione e/o riqualificazione.  La cosa potrebbe far storcere il naso ai fautori della conservazione a oltranza, come pure a coloro che non sono molto al corrente del costante “divenire” della disciplina del restauro, ma essa pare inevitabile per le circostanze specifiche che rendono assai problematico conciliare le innovazioni col rispetto dell’eredità storica.

Tornando alla mostra, vi è da dire l’idea di esporre opere di artisti contemporanei in una sede tutt’altro che moderna come Sant’Orsola non deve sembrare scontata o banale, giacchè la location dell’ex convento, nello stato in cui si rende percepibile, infonde speciale valore comunicativo all’arte.

Di fatto, le opere di Sophia Kisielewska-Dunbar e di Alberto Ruce, i due giovani artisti in mostra, hanno acquisito un pregio visivo ulteriore e inconsueto, che ha riaffermato la grande importanza che si attribuisce spesso, nella cultura dell’arte di mostrare l’arte, al “contenente” rispetto al “contenuto”. Del resto, come si è detto, il grande merito complementare della mostra è consistito nell’aver offerto la preziosa occasione per rivisitare gli ambienti interni del complesso e per compiacersi dei works in progress che segnano l’aspetto del cantiere. L’intensa emozione provata nel vivere tale esperienza penso sia un successo non certo marginale attribuibile alla mostra.

Il convento femminile di Sant’Orsola, dedicato alla martire che morì nel IV secolo vicino Colonia (Germania), fu fondato da suore benedettine nel 1309, nel pieno periodo che per Roberto Longhi fu quello aureo della storia edificatoria e artistica fiorentina.  Gradualmente il polo religioso si espanse fino ad occupare gran parte dell’isolato confinato dalle attuali Via di Sant’Orsola, Via Taddea, Via Panicale (ex Via dei Maccheroni), Via Guelfa (ex Via dell’Acqua), nel quartiere di San Lorenzo ove storicamente ebbero sede molte attività mercantili, tuttora presenti.

Pur restando prevalentemente chiuso per lungo tempo al mondo esterno, il convento acquisì speciale notorietà in quanto vi visse gli ultimi anni e vi fu sepolta, nel 1542, Lisa Gherardini del Giocondo, ossia la Monna Lisa che sarebbe divenuta immortale come La Gioconda nel celeberrimo quadro di Leonardo da Vinci esposto al Louvre.

Una vicenda il cui valore evocativo non è sfuggito ad Alberto Ruce, che vi si è ispirato per creare, in quella che fu la chiesa trecentesca del convento (ove sarà ospitato il Museo), un’installazione intrisa di modernità lieve e impalpabile che dialoga con la memoria del genius loci. Del resto, si può dire che il giovane artista ha elevato il genius loci a risorsa chiave della sua prestazione, come si è visto anche sulle pareti della ex Spezieria dove egli ha pitturato gesti e atti che rammentano le accorte lavorazioni che ivi si svolsero.

Come tanti altri conventi cittadini, che vennero adibiti a funzioni non più religiose per le politiche anticlericali settecentesce e ottocentesche attuate in Toscana, anche quello di Sant’Orsola fu tuttavia investito da decisioni che ne segnarono il radicale mutamento di destino. Con la soppressione napoleonica, la decisione fu quella di utilizzare l’ex convento per la sede della Manifattura Tabacchi (appaltata a privati), al cui scopo l’immobile fu oggetto nel 1810-14 di lavori edilizi, diretti da Bartolommeo Silvestri, che avrebbero alterato notevolmente la sua storica fisionomia religiosa, specie all’interno.

L’esito del riassetto funzionale conferito al complesso fu reso conoscibile da un accurato rilievo grafico del 1821, eseguito dall’ingegnere Giuseppe Valentini, che tra l’altro illustra la preminenza spaziale che ebbero storicamente i vari chiostri, di diverse dimensioni, sui lati dei quali si attestarono i corpi edilizi mutuamente connessi l’un l’altro.

L’edificazione nei pressi della Manifattura Tabacchi del nuovo Mercato coperto di San Lorenzo (1869-74), progettato da Giuseppe Mengoni, coinvolse Sant’Orsola nella misura in cui pensò di allargare e rettificare la via del principale accesso all’ex convento, oltre la  prosecuzione di Via Rosina, prefigurando una sorta di “sventramento” urbano ante litteram che restò però inattuato.

Col trasferimento a partire dal 1940 della Manifattura Tabacchi nella nuova prestigiosa sede vicina alle Cascine, la sorte di Sant’Orsola mutò nuovamente, nel mentre avveniva l’insediamento al suo interno di funzioni promiscue tra cui, dal 1945 al 1968, quelle connesse all’alloggiamento di persone sfrattate.  Sant’Orsola divenne quindi, seppure non in toto, una sorta di grande condominio popolare, ben documentato da varie fotografie dell’epoca.

Un ulteriore cambio di vicende si ebbe dal 1975, quando Sant’Orsola passò all’Opera Universitaria di Firenze, che tra l’altro commissionò un progetto allo scopo di destinare il complesso ex conventuale ad alloggi e servizi per studenti.  Di tale iniziativa, tuttavia, non si giunse che al solo inizio dei lavori, mentre interventi più consistenti di restauro risultano documentati verso la fine del decennio, nell’Archivio Fotografico della Soprintendneza di Firenze.

Le cose cambiarono ancor più drasticamente con il passaggio del complesso al Demanio dello Stato e con la decisione di insediare in Sant’Orsola una sede della Guardia di Finanza. A tale scopo, intorno al 1985, si dette avvio all’attuazione di un progetto di consolidamento alquanto pesante, basato sull’uso generalizzato di calcestruzzo armato e strutture d’acciaio, di cui oggi s’osserva la vistosa permanenza.

Aggirandosi negli ambienti dell’ex convento, contestualmente alla visita della mostra, è stato infatti impossibile evitare di restare a dir poco sorpresi nel riosservare l’impatto visivo che hanno le opere di consolidamento eseguite dalla Guardia di Finanza, di chiara impronta ingegneristica, che paiono insolitamente avulse dagli approcci rispettosi delle regole allora vigenti in materia di restauro architettonico.

Verrebbe spontaneo chiedersi come sia stato possibile eseguire ciò che salta agli occhi, in un periodo certamente non insensibile alle esigenze di tutela non invasiva del patrimonio. La risposta, però, non è possibile darla in questo breve scritto, e va cercata nei molteplici e diversi fatti che spesso accadono senza molte coerenze con lo Zeitgeist (spirito del tempo). Va peraltro detto, per colmo di sventura, che Sant’Orsola finì per risultare inadatta alle necessità dei Finanzieri, i quali rinuciarono a completare l’attuazione del progetto che rimase pertanto incompiuto.

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Ciononostante, per quanto la profusione di acciaio e calcestruzzo armato appaia stonata rispetto alla facies costruttiva che solitamente identifica la storicità di un monumento come Sant’Orsola, la cui sostanza materica è in prevalenza premoderna, l’effetto che si percepisce oggi non è a mio avviso repellente in toto.  Si ha l’impressione che i traumi edilizi subiti dall’ex convento si diano ormai come realtà compiuta e irreversibile, di cui prendere atto. Il che significa che in Sant’Orsola vi sono condizioni ottimali per elaborare proficue riflessioni sul tema del “restauro critico”, oltre che sul valore dell’architettura e dell’arte come entità culturali che trascendono i pregiudizi e i conformismi.

C’è quindi da augurarsi che Artea, insieme alla Città Metropolitana di Firenze che in quanto proprietaria gli cederà l’immobile, tenga conto di questa evidenza, come comunque parrebbe aver intenzione di fare osservando i vari elaborati grafici del progetto di recupero che, seppure mirante a evocare la presunta facies storica avuta dal complesso monumentale, non prefigura la cancellazione di tutti i palinsesti edilizi che conferiscono specificità ostensiva a Sant’Orsola.

Il chiostro dell’orologio come dovrebbe presentarsi a lavori conclusi, in una delle simulazioni iconografiche accluse al progetto di Artea. Da: https://www.groupe-artea.fr/wp-content/uploads/2021/03/dossier-post-conference-de-presse-florence-2021jan19-ital.pdf

 

L’aspetto architettonico non è comunque il solo tema su cui si valuterà la riuscita del progetto, un cui pregio importante, come s’è detto, consiste nell’intento di trasformare l’ex convento in una sorta di “condensatore sociale” basato sulla multifunzionalità e sullo scambio di relazioni. Ciò significa che Sant’Orsola diventerebbe molto più permeabile alla fruizione delle persone, come mai è accaduto nella sua storia plurisecolare, segnata dalla chiusura verso l’esterno che costituisce un dato intrinseco dell’architettura conventuale.

Cosicché, giusto per dare un’idea di ciò che potremo aspettarci, i chiostri potranno divenire delle piazze, ovvero degli ambiti spaziali protetti e ancor più preziosi, in una zona dove tutto è angusto e densamente edificato.

E’ probabile che l’apertura del complesso al suo intorno e alla città si compia mediante la contestuale gentrification dell’area (non solitamente benvoluta da tutti), che non sarà comunque dannosa se la riqualificazione consisterà anche nel miglioramento delle condizioni di pulizia, decoro, sicurezza, etc.

Il risultato che la città parrebbe invocare, sperando che l’operazione non si traduca in occasione di mero lucro per l’investitore privato, dopo decenni di sventure e aspettative, è il riscatto e la reimmissione nella vitalità urbana di un pregevole bene del patrimonio storico-architettonico fiorentino, non sempre preservato e valorizzato come avrebbe meritato.

EMas (Emanuele Masiello) – Luglio 2023


 

Per saperne di più:


 

Di seguito, altre immagini satellitari in 2D o 3D del complesso di Sant’Orsola, entro il suo contesto urbano densamente edificato. Da: Google Maps 2023

 

 

 

 

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