RICCARDO MORANDI / INGEGNERE SOMMO E INSCALFIBILE

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IN DIFESA DI RICCARDO MORANDI, INGIUSTAMENTE RITENUTO TRA I RESPONSABILI DEL TRAGICO CROLLO DEL VIADOTTO SUL POLCEVERA IN GENOVA

 

Il viadotto sul Polcevera a Genova prima del crollo e della demolizione

Mi è successo altre volte di affermare che non si possono scaricare sui progettisti, ovvero sugli autori di pregevoli opere d’architettura (o d’ingegneria), colpe e responsabilità che sono di altri (utenti, pubbliche amministrazioni, soggetti preposti alla gestione, etc.). La validità di tale assunto si conferma ogni qualvolta la realtà ci mostra situazioni e vicende, specie drammatiche, nelle quali è più che doveroso cercare coloro che le hanno cagionate.

Il cinema teatro Maestoso in Roma

Sono partito da questo richiamo per far capire quanto sarebbe ingiusto sfregiare la memoria dell’ingegner Riccardo Morandi (1902-1989) per il disastroso crollo del Viadotto sul Polcevera in Genova, avvenuto il giorno 14 agosto 2018 alle ore 11.36.  L’immane tragedia ha infatti innescato la strisciante messa in dubbio dell’autorità di Morandi, quale sommo ingegnere che creò opere eccelse, improntate al sapientissimo uso del conglomerato cementizio armato e all’attenta conciliazione delle esigenze tecniche con le finalità estetiche. Una messa in dubbio a mio parere irriguardosa, giacché Morandi, accanto a Pier Luigi Nervi, è stato l’ingegnere di maggior spicco del panorama costruttivo italiano del Novecento, come ben evidenziato da tanti studiosi quali da ultimo Tullia Iori e Marzia Marandola. Egli non merita affatto, quindi, di subire l’onta di accuse velate che sminuirebbero ingiustamente l’alta reputazione sinora goduta a buon diritto.

Dopo l’esperienza di Colleferro, cittadina di cui elaborò nel 1936 il piano urbanistico e dove edificò svariate opere, l’abilità progettuale di Morandi emerse gradualmente con la costruzione di edifici civili, tra cui numerosi cinema di grandi dimensioni realizzati in Roma, sua città natale. Il Cinema Maestoso, inglobato in un blocco di appartamenti è uno dei più noti.

Il ponte sul fiume Storms in Sud-Africa

Nel prosieguo della carriera Morandi si distinse tuttavia in special modo per i ponti e i viadotti, ad arco o strallati, di cui fu autore straordinariamente prolifico e inventivo, come ben documentano gli esiti consultivi del Fondo Riccardo Morandi custodito presso l’Archivio Centrale di Roma.

Sulla scia dell’ingegnere francese Eugène Freyssinet che era stato tra i primi ad intuirne le potenzialità applicative, Morandi utilizzò per i suoi ponti e viadotti, più di altri materiali, il calcestruzzo armato precompresso, di cui fu anche autore di brevetti. Esso consisteva nella pretensione mediante martinetti dei profilati metallici resistenti a trazione, la qualcosa assicurava maggiore rigidezza alle strutture portanti.  Nel settore della precompressione, Morandi divenne un maestro dell’ingegneria strutturale italiana del XX secolo, che nei primi decenni del secondo dopoguerra dominò il panorama internazionale anche per l’importante merito di imprenditori che seppero creare una ricca cultura economica e d’immagine intorno al cemento armato, di cui la nazione fu tra i maggiori produttori ed utilizzatori al mondo.

Il ponte sul torrente Bisantis, vicino Catanzaro

Quale professionista di fiducia di varie imprese di costruzioni, Morandi si guadagnò fama di ingegnere capace ed affidabile, che sapeva tenere in debito conto i primari aspetti economici e i problemi insiti nei processi realizzativi.  Egli fu quindi soprattutto un uomo di cantiere e uno studioso di soluzione tecniche da potersi applicare al mondo delle costruzioni, pur dedicandosi contestualmente all’insegnamento universitario (a Roma e Firenze) e alla scrittura di saggi (spesso pubblicati nel periodico “L’industria italiana del cemento“).

Il ponte Amerigo Vespucci in Firenze (emasphotos 2021)

 

Il ponte Amerigo Vespucci in Firenze, dettaglio della pila sinistra (emasphotos 2021)

Un’opera a cui sono particolarmente affezionato è a Firenze il Ponte Amerigo Vespucci (1952-1957), progettato da Morandi insieme agli architetti Giuseppe Gori, Enzo Gori, Ernesto Nelli, e realizzato dall’impresa Fratelli Giovannetti.  Tra quelli fiorentini moderni, è il ponte che più amo in quanto è molto agevole da percorrersi anche a piedi o in bicicletta, essendo costituito da un semplice impalcato molto poco curvo, ancorato alle spallette e a due pile affondate in acqua. L’impalcato è costituito longitudinalmente da tre parti, connesse sulle pile mediante incastri a pettine e irrigidite da “tiranti sottesi” ovvero da tendini d’acciaio non visibili.  In ciò risiede l’ingegnosa soluzione costruttiva che regge il ponte, che per esigenze ambientali è volutamente poco pretenzioso dal punto di vista morfologico. Tra le pile e l’impalcato vi è tuttavia uno stacco che concorre a rendere percepibilmente autonome (alla maniera neoplastica) le due parti costitutive, la qualcosa rende l’opera chiaramente ascrivibile al quadro delle esperienze architettonico-ingegneristiche più studiate dell’arte costruttiva del tempo.

Il viadotto sul Lago di Maracaibo in Venezuela

La fama internazionale arrise a Morandi con il ponte sul Lago di Maracaibo (1956-1962), in Venezuela, nazione che all’epoca disponeva di enormi risorse economiche provenienti dai giacimenti petroliferi. Nel lungo collegamento stradale (circa 9 km) tra le due sponde del lago, allo sbocco nel Mar dei Caraibi, Morandi pervenne a una soluzione costituita da enormi piloni a cavalletto, aventi forma di A, ai quali erano fissati gli impalcati le cui parti a sbalzo erano sorrette anche da stralli ovvero da fasci di tiranti di acciaio.

Ponte sul Wadi al-Kuf in Libia (disegno)

La forma peculiare di tali cavalletti, unitamente agli stralli che vi erano fissati, ottenne un successo iconico  talmente straordinario, nel mondo dell’ingegneria e dell’architettura del tempo, da divenire per Morandi una sorta di logo personale.  Un segno identificativo che ben sintetizzava il senso dell’equilibrio statico ottenibile con l’ingegnosa disposizione di strutture cementizie elementari.

Ponte sul Wadi al-Kuf in Libia

Si può dire che Morandi abbia coltivato assiduamente l’estetica dell’equilibrio statico, figurabile con la logica e la coerenza geometrica. Egli fu un maestro nel modellare le strutture cementizie armate in rapporto sia alla primaria funzione portante, ovvero alle leggi della statica e della scienza costruttiva, sia alle esigenze di ambientamento come egli le definisce in vari scritti ed interviste.

Si badi però che l’impatto paesaggistico delle opere di Morandi non è mai attenuato o timido, ma è forte ed energico, pur non dequalificando i contesti di inserimento, come egli auspicava.

La presentazione del modello del viadotto sul Polcevera al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (Riccardo Morandi ha la mano aperta)

La sua opera pubblica più nota fu comunque in Italia il Viadotto sul Polcevera (1959-1967), in Genova.  In esso furono riproposti i colossali cavalletti di Maracaibo, come pure gli stralli i quali però furono ‘omogeneizzati’, ovvero inglobati in manufatti anch’essi cementizi, in modo da rendere ancor più adamantino e matericamente coerente il logico congegno statico costruttivo che presiedeva alla funzionalità dell’opera. L’effetto che ne derivò fu sconvolgente per l’enorme impatto visivo che le megastrutture cementizie, di forma ad A, impressero all’immagine moderna di Genova e al groviglio di strade e autostrade che tuttora innervano la sua scoscesa topografia.  Un’immagine di fiducia nei progressi dell’ingegneria e della mobilità su pneumatici che appariva all’epoca una conquista tangibile della modernità velocemente avanzante.

Disegno di uno dei piloni del viadotto sul Polcevera

Ciononostante, negli ultimi tempi non passavo quasi più in automobile sull’altissimo Viadotto Morandi, in quanto presentivo che potesse cedere all’improvviso o che potesse accadere qualcosa di spiacevole. Non che avessi speciali poteri visionari, ma le continue sollecitazioni e vibrazioni apportate dai mezzi pesanti mi sembravano davvero eccessive.

Evidenziazione delle parti costitutive del viadotto sul Polcevera

Francamente non riuscivo a capire perché la società Autostrade non provvedesse quanto meno a imporre drastici rallentamenti di velocità.

Quando il viadotto crollò mi trovavo a Parigi, nella chiesa di Notre-Dame du Travail (metallica all’interno), e la notizia proveniente dall’Italia, pur tramortendomi, non mi colse quindi molto di sorpresa, dal momento che per recarmi in Francia avevo preferito passare addirittura per il Fréjus, piuttosto che percorrere quel tratto impressionante di autostrada genovese di cui presagivo i rischi di possibili disastri.

Copertina della “Domenica del Corriere” con l’immagine del costruendo Viadotto sul Polcevera

A distanza di vari mesi dall’immane tragedia, non trovo giusto però che qualcuno addebiti a Morandi la responsabilità o anche solo la corresponsabilità di un accadimento talmente grave da aver sconvolto la coscienza nazionale italiana.  E’ risaputo che le grandi opere di ingegneria e di architettura, specie se strutturalmente molto ardite come evidenzia il caso del Viadotto sul Polcevera, non basta limitarsi a costruirle ma occorre mantenerle in costanti condizioni di efficienza e sicurezza. Sbaglia di molto chi si illude che reggano in eterno senza necessità di attenzioni e cure opportune.

Certamente lo stesso Morandi, dall’alto della sua esperta sapienza, era consapevole della necessità di tenere sempre desta l’attenzione soprattutto sugli stralli, sottoposti ad enormi sollecitazioni e bisognevoli di costanti controlli anche delle guaine che li inglobavano. Ma egli non può essere accusato post-mortem di aver trascurato gli effetti delle carenze manutentive o delle rapidissime usure che secondo i periti avrebbero cagionato la tragedia, le cui esatte dinamiche sono peraltro in corso di accertamento.

Per questo, dopo che il 28 giugno 2019 è stato fatto esplodere ciò che rimaneva del viadotto genovese, voglio rendere omaggio alla memoria di Riccardo Morandi, un ingegnere dal temperamento schietto e roccioso, pratico e concreto, che ha dato lustro all’Italia apportando contributi mirabili all’arte costruttiva dei ponti e dei viadotti in calcestruzzo armato.

La demolizione con esplosivi del viadotto sul Polcevera

La grandezza di Morandi è stata tale da non poter essere scalfita da una vicenda che lo vede vittima delle condizioni in cui si trovava l’imponente viadotto che aveva creato in Genova, e in cui si trovano purtroppo, nel nostro frangente storico, molte altre opere pubbliche in Italia.

EMas (Emanuele Masiello) – Luglio 2019

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Crediti iconografici: Wikimedia Commons (ove non diversamente specificato)


 

Si vedano anche:

  • Giorgio Boaga (a cura di), Riccardo Morandi, Zanichelli, Bologna 1988
  • Tullia Iori, L’invenzione di Morandi, in SIXXI 5 – Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, Gangemi, Roma 2020

 

 

 

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