IL PRIMO MERCATO DEI FIORI DI PESCIA / NUOVI TRIBUTI CRITICI AL MERITO DEI SUOI ARTEFICI

0
2390

GLI ATTI DI UN CONVEGNO APPORTANO NUOVE CONOSCENZE SUGLI AUTORI DI UN’OPERA TRA LE PIU ICONICHE DELLA MODERNITÀ ARCHITETTONICA IN TOSCANA 

 

Il Mercato dei fiori di Pescia in una fotografia dello Studio Barsotti (Biblioteca Scienze Tecnologiche Firenze, Fondo Giuseppe Giorgio Gori)

 

Il fatto che i progettisti del primo Mercato dei fiori di Pescia (1949-51) siano stati tra i protagonisti dell’architettura contemporanea in Toscana, nei decenni del secondo dopoguerra, sarebbe di per sé sufficiente a rendere interessante l’uscita di una pubblicazione a loro dedicata, che raccoglie gli atti della giornata di studi tenutasi nella sede del Palazzo del Podestà in Pescia, il 27 ottobre 2018. (Gli architetti del Mercato dei fiori di Pescia negli anni della ricostruzione postbellica, a cura di Mauro Cozzi e Ulisse Tramonti, Edizioni ETS, Pisa 2020). La pubblicazione coincide col numero 1 dei Quaderni del Cedacot (Centro di Documentazione sull’Architettura Contemporanea in Toscana), un’associazione presieduta da Ezio Godoli che si pone l’ambizioso obiettivo di coltivare un settore di studi che nella regione creata da Cosimo I de’ Medici può disporre di un patrimonio ricco e vario, senz’altro eminente nel panorama nazionale. L’aspetto editoriale del volumetto, alquanto asciutto, racchiude saggi molto densi nei contenuti, dovuti a studiosi che da anni si occupano della materia e che detengono il merito di aver primeggiato nella valorizzazione della modernità architettonica in Toscana.

Altra immagine del Mercato dei fiori di Pescia in una fotografia dello Studio Barsotti (Biblioteca Scienze Tecnologiche Firenze, Fondo Giuseppe Giorgio Gori)

 

Giuseppe Giorgio Gori, Enzo Gori, Leonardo Savioli, Leonardo Ricci, Emilio Brizzi, quali autori del Mercato dei Fiori di Pescia, sono stati tra i propagatori del fondamentale insegnamento del maestro Giovanni Michelucci, di cui tutti furono allievi. È noto che Michelucci ebbe un ruolo chiave nella formazione della ‘scuola fiorentina di architettura’, germinata dalla Scuola Superiore di Architettura (poi Istituto Superiore di Architettura), seppure insieme ad altre notevoli personalità quali Raffaello Fagnoni, Raffaello Brizzi, Roberto Papini, etc. È comunque all’opera di Michelucci, emigrato nel 1948 a Bologna per insegnare alla Facoltà di Ingegneria, che il quintetto di talentuosi progettisti che eccelsero in Pescia dovette il proprio imprinting, senza dubbio denso di prospettive. Si può dire che l’attività di ognuno di loro ha costituito un tassello significativo entro il mosaico architettonico che nel dopoguerra ha posto gradualmente la Toscana in grado di fornire apporti rilevanti alla storia dell’architettura italiana.

Tra i progettisti sui quali si è soffermata di più la mia attenzione vi è Giuseppe Giorgio Gori (1906-96), che i saggi di Ulisse Tramonti, Fabio Fabbrizzi, Claudia Massi, Gabriella Carapelli e Mauro Cozzi, Lorenzo Mingardi, Francesco Lensi e Fabio Turcheschi, mi hanno consentito di conoscere meglio di quanto già conoscessi Leonardo Savioli e Leonardo Ricci, glorificati ormai da tempo dalla critica e dalla storiografia. Gori è stato un riferimento importante per l’architettura del suo tempo in Toscana, distinguendosi quale prolifico e solido professionista, vocato alla collaborazione e al lavoro di gruppo, nonché quale docente attento al valore della metodologia e dell’integrazione degli apporti pluridisciplinari. Egli fu un costante animatore della Facoltà di Architettura fiorentina, di cui fu Preside dal 1966 al 1969, negli ultimi anni della sua vita.

Cartolina postale fotografica di pochi anni successivi all’inaugurazione del Mercato dei fiori di Pescia

 

Se si mettono insieme le opere che Gori progettò o contribuì a progettare – quali la sede del «Giornale del Mattino» in via Santa Caterina d’Alessandria angolo via delle Ruote, il Ponte Amerigo Vespucci, la sede ACI in Viale Giovanni Amendola, il cavalcavia dell’Affrico sulla ferrovia, la Casa dello Studente in Viale Morgagni -, si capisce che siamo di fronte a un uomo che ha lasciato un’impronta forte nel patrimonio architettonico moderno in Toscana. Il Ponte Vespucci (1953-57), opera realizzata insieme agli architetti Enzo Gori ed Ernesto Nelli e con la consulenza del famoso ingegnere Riccardo Morandi, maestro del calcestruzzo armato precompresso, è sicuramente un capolavoro nella sequenza dei ponti fiorentini che scavalcano l’Arno, di quelli sia più antichi sia più recenti. Per inciso è il ponte che percorro più volentieri in bici, in quanto il suo impalcato è molto meno gibboso del vicino Ponte alla Carraia. Della sede ACI (1957-58), realizzata con i giovani architetti Domenico Cardini e Rodolfo Raspollini, oltre che col fidato ingegnere Emilio Brizzi, si riammira nel libro l’ingegnoso sistema costruttivo basato su possenti strutture cementizie che sostengono i piani superiori, reggendo al contempo i piani inferiori. Una soluzione adottata poi a Firenze anche dagli ingegneri Silvano Zorzi e Augusto Bianchi, insieme all’architetto Alberto Galardi, per il noto edificio ‘appeso’ della Olivetti (1968-72) in via Santa Caterina d’Alessandria. Dello Studentato in Viale Morgagni (1964-68), si apprezza ancora oggi l’audace e schietto impatto visivo delle torri cruciformi, connesse alla base da volumi geometrici più bassi, che coniugano il magistero architettonico con quello ingegneristico, nel solco di una tradizione che si può far risalire a Brunelleschi e che a mio avviso costituisce la qualità più identificativa della ‘scuola fiorentina di architettura’. Se si aggiunge l’intervento di restauro/ammodernamento di Palazzo Portinari-Salviati (1954-59), in via del Corso, si ha la misura di quanto Gori sia stato davvero abilissimo nei più diversi campi dell’architettura, eccellendo in un approccio adattativo e flessibile, che potremmo definire del ‘caso per caso’, come quello analogo e coevo elaborato da Ambrogio Annoni nell’ambito della teoria del restauro.

Il Mercato dei fiori di Pescia in una cartolina postale fotografica degli anni ’70 ca.

 

Alla personalità di Giuseppe Gori, il libro del Cedacot assegna giustamente un’importanza primaria, senza tuttavia lasciarsi sfuggire l’occasione di mettere a fuoco altre tematiche degne di essere riconsiderate e riproposte all’attenzione. Per esempio quella della distruzione e ricostruzione dei ponti fiorentini sull’Arno. Ulisse Tramonti riaffronta l’argomento evidenziando gli aspetti che maggiormente segnarono le vicende progettuali, condizionate dallo svolgimento di concorsi non sempre trasparenti e scevri da pilotaggi. La contrapposizione tra l’idea che si dovesse ricostruire la città ‘com’era e dov’era’, propugnata da Bernard Berenson, e l’idea che si dovesse invece consentire una maggiore libertà, avallata da Ranuccio Bianchi Bandinelli, è indicativa dell’importanza che ebbero la cultura artistica e archeologica nel rapportarsi alla cultura urbana e architettonica.

Planimetria di progetto (Biblioteca Scienze Tecnologiche Firenze, Fondo Giuseppe Giorgio Gori)

 

Un altro tema toccato nel saggio sui ponti è quello del valore assegnato alla ‘sincerità costruttiva’, ovvero a un concetto che ha permeato le aspirazioni e i rovelli di molti architetti moderni, non solo toscani, quantunque sia stato esageratamente mitizzato e talvolta impregnato di retorica se non di ipocrisia. A tale tema può essere accostato, per converso, il rigetto del ‘formalismo’, in quanto anche per gli architetti che operarono in Pescia, sulla scia del pensiero michelucciano, la forma avrebbe dovuto essere non un dato aprioristico ma l’esito di un processo. La qualcosa, tuttavia, appare anch’essa un assunto ideologico facilmente contestabile.

Interessante, nel contributo sia di Tramonti sia di altri autori, è inoltre la frequente citazione del ‘concorso-appalto’ (o ‘appalto-concorso’) che nei decenni del secondo dopoguerra fu estesamente utilizzato nel mondo dei lavori pubblici, costituendo un valido supporto all’imporsi dell’Italia repubblicana quale potenza architettonica mondiale. Esso si basava sulla competizione non già tra progettisti ma tra imprese, che costringeva queste ultime ad avvalersi dei professionisti più capaci, i quali spesso pur di aggiudicarsi gli incarichi abbondavano in molteplici proposte e soluzioni. Tali procedure selettive rivelano ancora oggi una traboccante voglia di progettare, ovvero di guardare avanti e immaginare il futuro, che attesta la vitalità di una stagione che fu davvero molto feconda per l’architettura non solo toscana ma italiana.

Un altro saggio su cui voglio dire qualche parola è quello di Ezio Godoli su Frank Lloyd Wright e la Toscana. La mostra che si tenne a Firenze nel 1951 sul celebre maestro americano fu infatti l’evento che fece trasparire le rivalità e le sfumature di opinioni tra coloro che curarono l’esposizione (Bruno Zevi e Carlo Ludovico Ragghianti) e coloro che invece ne restarono fuori (Roberto Papini e altri docenti della Facoltà fiorentina). Per quanto Zevi abbia impresso forti energie comunicative nel propugnare il valore dell’opera di Wright, anche tramite l’APAO (Associazione per l’Architettura Organica), l’ambiente fiorentino restò alquanto esente dall’assorbimento di influenze dichiarate. Lo stesso Michelucci non si entusiasmò più di tanto per i clamori della mostra, quantunque egli non fosse affatto contrario a concepire l’architettura in stretto rapporto con l’ambiente e la natura. Ciononostante non si può dire che la lezione di Wright sia stata totalmente ignorata dai talentuosi autori operanti in Pescia, i quali ebbero comunque anche in Le Corbusier e in altri maestri internazionali i numi ispiratori da emulare.

Immagine recente del Mercato dei fiori di Pescia (da Wikimedia Commons)

 

Divenuti collegialmente artefici di un opera elogiata anche all’estero, che costituisce un caposaldo dell’architettura moderna in Toscana (pur giacendo da anni in penoso stato d’abbandono), i progettisti del Mercato dei fiori di Pescia trassero quindi da quell’esperienza di successo la fiducia per dare impulso a carriere professionali e didattiche che si dipanarono poi in autonomia, comunque arricchendo notevolmente il patrimonio culturale della ricostruzione postbellica.

Il libro curato da Mauro Cozzi e Ulisse Tramonti ha il principale merito di fornire varie e nuove letture critiche dell’attività di quei protagonisti e del contesto entro il quale essi operarono, facendosi specialmente apprezzare anche per l’accostamento ai testi di pregevoli documenti iconografici (disegni, fotografie, etc.), che valorizzano le copiose risorse archivistiche della BST (Biblioteca di Scienze Tecnologiche) di Firenze.

EMas (Emanuele Masiello) – Ottobre 2020

© RIPRODUZIONE RISERVATA


 

Vedasi anche 
L’ARCHITETTURA DI WALTER DI SALVO