“DURARE” (E DUREREMO ?)

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Palazzo delle Poste di Viterbo. Il pannello ornamentale alla sommità della torre d’angolo, con l’orologio, i segni zodiacali plasmati in formelle di terracotta, la scritta a caratteri lapidari “DURARE” (emasphotos 01.05.2024) 

 

Balza ancora oggi molto visibilmente agli occhi la scritta a caratteri lapidari “DURARE” (a cui verrebbe spontaneo aggiungere “E DUREREMO ?”), posta in cima alla torre del Palazzo delle Poste di Viterbo (progettato dall’architetto Cesare Bazzani ed eretto nel 1933-36).  La scritta, più che concisa, è inserita entro un pannello ornamentale includente l’orologio e i segni zodicali plasmati in formelle di terracotta, ed è databile quindi a non molto prima della ben più nota e assonante parola d’ordine “Vincere ! E vinceremo !”, proclamata dal Duce al momento della suicida entrata in guerra dell’Italia.

Palazzo delle Poste di Viterbo. L’edificio, saldo e imponente, emerge chiaramente dal contesto urbano circostante, d’impianto anteriore (emasphotos 01.05.2024) 

 

Non è dato esserne certi ma potrebbe essere che la parola “DURARE” fosse allusiva dello slogan “osare, durare, vincere”, oppure dello slogan “durare sino alla vittoria, durare oltre la vittoria […])”, entrambi alquanto diffusi nella propaganda del Regime.  (Non volendo certo ipotizzare, con sarcasmo, che fosse un laconico monito contro l’eiaculazione precoce in Tuscia, oppure un accostamento ossimorico tra l’orologio che segna lo scorrere del tempo e la volontà di farlo durare).   Sta di fatto che la nuda essenza della parola, priva di fronzoli aggettivanti (come pure di un punto fermo o di un punto esclamativo), non appare nemmeno tanto esortante all’azione o all’aver fiducia in qualcosa, evocando piuttosto una generica e persino blanda affermazione di permanenza o di perseveranza (se non di resistenza) nel tempo che passa. Che però non manca di suscitare un vago senso d’inquietudine, pur misto ad ermetica e tronfia comicità  (brancaleonesca per intendersi).

Si resta comunque sorpresi nel notare quante numerose scritte (slogans, parole d’ordine, motti, appelli, etc.), spesso create con studiati caratteri tipografici, ancora sopravvivano sulle facciate di tanti edifici non solo pubblici. Divenuti emblematici dell’architettura del Ventennio che fece ampio uso della scrittura – oltre che come strumento di chiara e immediata comprensione delle funzioni svolte dagli edifici – per lanciare messaggi espliciti o celati, per comunicare valori ideologici, per destare consenso prolungato ed empatico, per far sentire vicina la presenza del potere dominante, etc., anche mediante l’immissione nell’arte edificatoria del linguaggio politico .

Palazzo delle Poste di Viterbo. Un’immagine dell’interno (emasphotos 01.05.2024) 

 

La damnatio memoriae non è riuscita a cancellare tutte le tracce del Regime e l’astanza fenomenica di molte “architetture parlanti“.  Che furono tali non tanto per le forme, come certe architettura visionarie del XVII-XIX secolo o certe architetture pop del XX secolo, ma, epidermicamente, per l’uso di frasi e parole che funsero da risorse complementari alla pervasività politica del tempo.  Che seppe trarre grande e vario profitto anche dalle opere pubbliche che, come è noto, raggiunsero in generale alti livelli qualitativi.

EMas (Emanuele Masiello) – 5 maggio 2024

 


 

Palazzo delle Poste di Viterbo. Disegno di progetto (da: archidiap.com/opera/palazzo-delle-poste/). Uno dei tanti documenti del tempo che può essere portato a supporto nelle situazioni in cui, quando qualcuno ancora domanda: “ma cosa ha lasciato di buono il Regime ?”, basterebbe rispondere: “l’architettura”. 

 


 

Palazzo delle Poste di Viterbo. Fotografia di qualche anno dopo la realizzazione dell’opera, avvenuta tra il 1933-36 (da: archidiap.com/opera/palazzo-delle-poste/)

 


 

Palazzo delle Poste di Viterbo. Planimetria catastale che dimostra come l’edificazione dell’opera comportò lo sventramento di un ampio brano di tessuto urbano (da: archidiap.com/opera/palazzo-delle-poste/)

 

 

 

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