DAMNATIO MEMORIAE PER PHILIP JOHNSON / CHIESTA LA RIMOZIONE DEL SUO NOME DAI LUOGHI PUBBLICI

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ALCUNI ARTISTI E ARCHITETTI AMERICANI VOGLIONO CHE LE ISTITUZIONI PUBBLICHE DISCONOSCANO L’ONORABILITA’ DI PHILIP JOHNSON, INCOLPATO DI AVER AVALLATO, DA GIOVANE, IL FASCISMO E IL NAZISMO.

Philip Johnson sdraiato su prato della sua ben nota Glass House nell’area di New Canaan, Connecticut. Fotografia di David  McLane, NY Daily News, Getty

Mi sono spesso interrogato sul reale valore di Philip Johnson (1906-2005), come architetto e come uomo che ha convissuto con l’architettura per l’intera sua lunga esistenza. Sono stato indotto a pensare che la sua abilità più grande sia consistita nel riuscire a captare, abduttivamente, lo spirito dei tempi, e nel saper tesaurizzare il successo che questa capacità divinatoria gli consentiva di cogliere.

Altra immagine della Glass House. Da Wikimedia Commons

Talvolta, è mancato poco che lo considerassi un mero e scaltro plagiatore, neppure tanto bravo, osservando la sua Glass House o Johnson House (1947-49) in New Canaan, Connecticut, che sembrava sfacciatamente  ricalcata sulla Farnsworth House (1945-51) in Plano, Illinois, del suo maestro e amico Ludwig Mies van der Rohe; oppure la AT&T Tower (1978-84) in Manhattan, progettata con John Burgee, che ammiccava scopertamente alla stilistica ispiratrice del post-modernismo; oppure ancora, il progetto per la Law School Addition in Houston (1991), anche con Burgee, che iconizzava le virtualità formalistiche del Decostruzionismo.

L’interno della Glass House, arredato con mobili di Mies van der Rohe. Da Wikimedia Commons

Johnson poteva apparire un plagiatore persino nel look, visibilmente mutuato da quello di Le Corbusier. Specie per l’uso di occhiali da vista con lenti tonde racchiuse in spesse montature, che furono a lungo considerati i tipici occhiali “da architetto”.

Eppure, non si può negare che egli sia stato un gigante della cultura architettonica statunitense, anche grazie a un attivismo intenso e mondano che gli fu di grande aiuto nel ricevere incarichi influenti e di prestigio. Quale quello di primo direttore del Dipartimento di Architettura e Design del MoMA (Museum of Modern Art) di New York, che gli consentì di acquisire ampia notorietà mediatica insieme al sodale Henry-Russell Hitchcock. Come in tanti sanno, i due coniarono la locuzione International Style, che ebbe enorme fortuna nella lessicografia architettonica mondiale. Essa era riferita al titolo di una mostra (con relativo catalogo) organizzata al MoMA nel 1932, che poneva l’attenzione su quanto era accaduto in architettura nel decennio precedente, riguardo a ciò che si riteneva stilisticamente e radicalmente “moderno”.

Il Nuclear Research Center in Israele, poco dopo la sua realizzazione (da https://www.archdaily.com/398642/ad-classics-soreq-nuclear-research-center-philip-johnson?ad_source=search&ad_medium=search_result_all)

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Il Nuclear Research Center in Israele, poco dopo la sua realizzazione – la corte interna antistante il reattore (da https://www.archdaily.com/398642/ad-classics-soreq-nuclear-research-center-philip-johnson?ad_source=search&ad_medium=search_result_all)

Johnson restò direttore della sezione architettonica del MoMA dal 1932 al 1936 e ancora dal 1946 al 1954. Un periodo di circa 14 anni in totale, durante i quali l’architettura statunitense fu alquanto influenzata dalla sua personalità e dai riverberi dei suoi rapporti sociali (fu tra l’altro amico di Andy Warhol).  Se si considera che egli mantenne rapporti col MoMA fino agli ultimi anni della sua vita, non sorprende quindi che il museo gli abbia tributato degni onori postumi, intestandogli vari spazi e luoghi espositivi.

Vi è da aggiungere che molte opere architettoniche di Johnson appaiono ancora oggi francamente ben riuscite e pienamente espressive del loro tempo. Alludo al Nuclear Research Center (1956-60) in Rehovot, Israele; alla Kline Biology Tower (1964-66) nel campus della Yale University a New Haven, Connecticut; alla Garden Grove Community Church o Crystal Cathedral (1976-80), in California, con Burgee. La qualità di tali costruzioni dimostra che non si può liquidare Johnson come un ambizioso ma in fondo sterile epigono di architetti geniali (Gropius, Mies, etc.). Anzi, ritengo che siano da favorire le revisioni valutative da parte di chi si cimenta con la conoscenza della mole davvero enorme del suo febbrile lavoro.

A detta di molti, Johnson fu il decano dell’architettura statunitense del XX° secolo, tra l’altro insignito di due prestigiosi riconoscimenti: la Gold Medal dell’American Institute of Architects (AIA) nel 1978 e il Pritzker Prize nel 1979 (primo architetto a vincerlo). Egli seguitò a restare sulla cresta dell’onda fino a età avanzata, spegnendosi nella sua casa di New Canaan nel 2005, alla veneranda età di circa 99 anni.

A Johnson tuttavia, continuano a non perdonarsi alcuni “errori di gioventù”, quali le simpatie che egli mostrò negli anni ’30 del secolo scorso per il Fascismo e il Nazionalsocialismo. Come riferiscono i siti web archinect e artnet (vedi in fondo al post), è fresca la notizia che un sedicente Johnson Study Group ha scritto una lettera aperta al MoMA (indirizzata al direttore Glenn Lowry e al curatore del Dipartimento di Architettura e Design, Martino Stierli), e alla Harvard University (indirizzata alla preside della Graduate School of Design, Sarah M. Whiting), chiedendo che il nome di Johnson sia rimosso dalle opere e dai luoghi museali che abbiano rilevanza pubblica.

Ciò che si contesta è il “suprematismo bianco” e il “razzismo” che Johnson avrebbe avallato, e che a giudizio dei petitori (tra cui figurano gli artisti Xaviera Simmons e Mario Moore) dovrebbe vietargli di continuare ad apparire quale riferimento positivo per i curatori di mostre e collezioni, gli studenti, gli amministratori, gli altri appartenenti alle pubbliche istituzioni.  Annullare o anche solo offuscare l’eredità e la memoria di Johnson, in quanto persona macchiatasi di comportamenti esecrabili, parrebbe quindi doveroso a giudizio del gruppo che porta provocatoriamente il suo nome. 

Così, lacancel culture, espandendosi in varie direzioni, non rinuncia ad esigere con fermezza inesorabile che anche le attività ascritte da vari biografi al giovane Johnson non sfuggano all’espiazione postuma della condanna. 

A quanto se ne sa, il MoMA non ha ancora accolto la richiesta. La Harvard University ha fatto invece sapere che intende rimuovere la targa col nome di Johnson da un edificio che egli progettò per la sua tesi di laurea, che sarà indicato d’ora in poi col solo indirizzo stradale in Cambridge, Massachusetts, come altri immobili dell’Università.

EMas (Emanuele Masiello) – 10 dicembre 2020 (rev. ott. 2022)

 


 

Si vedano:

https://archinect.com/news/article/150240421/sarah-whiting-dean-at-harvard-gsd-responds-to-call-for-removal-of-philip-johnson-s-name

https://news.artnet.com/art-world/architects-calling-on-moma-remove-philip-johnsons-1927988

Per una panoramica sulla vita e la carriera di Johnson, si veda anche:

https://www.archisoup.com/philip-johnson-architectural-biography

Un’interessante intervista televisiva al maestro è visibile in:

https://achievement.org/achiever/philip-johnson/#interview


 

Vedasi anche
OMAGGIO A VITTORIO GREGOTTI